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A proposito di Stroke: funziona davvero la prevenzione?

24 Gennaio 2006
di Alberto Freddi Consulente Scientifico Gruppo Tosinvest Sanità San Raffaele Cassino

Sull’ictus cerebrale si è scritto e detto tanto in termini di diagnosi e cura. Forse s’è detto un po’ meno in termini di prevenzione, che stenta a trovare il dovuto ascolto perché risulta sicuramente più facile correre ai ripari quando ci si imbatte in un così drammatico evento piuttosto che adottare misure di protezione quando sembra che tutto sia in ordine.

Sembra, s’è detto. Ma tutti sanno che vi sono insidiosi e talora inavvertiti fattori di rischio che sono in grado di aumentare nettamente le probabilità di incappare in un evento ictale.
Di questi fattori di rischio, com’è noto, ve ne sono alcuni che non sono eliminabili (ad esempio, l’età, il sesso, l’imprinting genetico, la comparsa di una severa aritmia cardiaca, ecc.), ma ve ne sono altri (e sono quelli che più contano!) che appaiono eliminabili – o, quanto meno, contenibili – come ad esempio l’ipertensione, il diabete, le dislipidemie, l’obesità, certe abitudini voluttuarie come il fumo, l’assunzione di alcolici e così via.

A queste semplicissime considerazioni (ma perché ciò che è semplice ed ovvio stenta tanto a trovare fortuna?) ne vanno aggiunte altre, forse un po’ meno note, ma di grande rilevanza clinica.
 Ad esempio, si è visto che il rischio di avere uno stroke in un iperteso con una storia preesistente di obesità o di diabete aumenta di tre volte nei confronti di soggetti che non assommano queste evenienze; se poi un iperteso è anche un fumatore, allora il rischio aumenta di 6 volte nei confronti dei normotesi non fumatori. Il rischio, poi, sale ad 8 se il soggetto è iperteso ed ha una storia di T.I.A. o di fibrillazione atriale.

Insomma, la coesistenza di fattori di rischio funge da volano per esaltare le probabilità di incappare in un danno cerebrovascolare, e queste probabilità crescono in maniera esponenziale all’aumentare dei fattori di rischio.

Di qui una conseguenza davvero banale: chi non corregge i fattori di rischio eliminabili è sicuramente artefice del proprio cattivo destino clinico.
Si dirà: per alcuni fattori non ci possiamo far nulla, come nel caso dell’età.
E’ vero, ma come ricordano studi recentissimi,  “Stroke is not an inevitable consequence of aging”!
Il che significa che, se si invecchia al riparo dei fattori di rischio (facendo attività motoria, diete congrue, controllando – anche farmacologicamente –  pressione arteriosa, colesterolemia, trigliceridi, uricemia, ecc.) ci si può accorgere che l’evento ictus tende sicuramente ad abbassare le proprie possibilità di colpire. E se colpisce, le possibilità di sopravvivenza diventano più ampie. Infatti, si è visto che fra quanti sopravvivono più di 30 giorni al primo stroke, più della metà restano in vita nei successivi 5 anni; e se si va a cercare un indice di predittività in grado di pronosticare la durata della sopravvivenza e il rischio di un secondo ictus, si è visto che  vivono più a lungo (e non reiterano l’evento) quelli che, prima di aver subìto lo stroke, avevano svolto una forte attività motoria.

In conclusione, contro l’oggettività dei dati numerici non è ammessa discussione.
E siccome le cose stanno proprio così, bisognerebbe dar maggior valore alla prevenzione, come ricorda un antico aneddoto della medicina cinese: “Medico, io non voglio venire da te quando ormai mi sono ammalato, io voglio venirci prima, perchè Tu sappia indicarmi le cose giuste da fare per non ammalare”.