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Crisi economica e depressione psicologica: la parola al Prof. Barbanti, primario del Gruppo San Raffaele.

4 Maggio 2012

Il Prof. Piero Barbanti, primario del Centro delle Cefalee e del dolore dell’IRCCS San Raffaele Pisana, ci spiega come la depressione e la crisi economica sono strettamente legate: attualmente il 21% della popolazione mondiale è affetta da forme depressive (secondo le statistiche OMS la depressione rappresenta oggi la malattia più disabilitante per il genere umano).

I dati relativi sia alla crisi asiatica del 1997 che alla crisi canadese del 2009 dimostrano che l’incidenza della depressione e delle sue varianti può raddoppiare in 1 anno anche se è noto che l’acme compare solitamente 5-7 anni dopo l’esplosione della crisi economica.

 “Viviamo in una società dove siamo tutti pressati dal fattore tempo – afferma il Prof. Barbanti – cellulari, tablets e PC cancellano le nostre capacità di recupero nervoso imponendoci di fare tutto subito, sempre, ovunque, ponendo il nostro cervello in condizioni di stress estremo. A questo si aggiunge la mancanza dei tradizionali ammortizzatori emotivi per la cosiddetta crisi dei valori e per la crisi della famiglia”.

 

Professor Barbanti, l’impatto della crisi economica sulla psiche come modifica il nostro stile di vita?

Oltre ai disturbi depressivi aumentano nettamente anche tutti i disturbi della sfera ansiosa (panico, ansia generalizzata). Dati recentissimi provenienti da indagini epidemiologiche dimostrano che:

Aumentano:

  • uso di alcoolici
  • uso di droghe (negli USA i disoccupati dediti a droghe sono passati in un anno da 1.3 a 2.5 milioni)
  • omicidi (+ 0.79% del tasso di incidenza per ogni punto percentuale di aumento della disoccupazione) e morti violente
  • violenze domestiche e divorzi
  • accessi al pronto soccorso ed alle strutture psichiatriche.

Si riducono invece, paradossalmente:

  • incidenti stradali (-1.36% per ogni punto percentuale di aumento della disoccupazione) , questo perché la gente per risparmiare va piano!
  • mortalità generale, per adozione di stili di vita più frugali (si mangia meno, si cammina di più rinunciando alla autovettura). Quest’ultimo dato non è nuovo: negli anni 30, immediatamente dopo la grande depressione, la mortalità generale calò del 10%

 

Quali sono le conseguenze psicologiche della perdita del posto di lavoro?

Le conseguenze sono sempre gravi ma spesso non dipendono direttamente dalle difficoltà economiche. Il detto “poveri ma belli” e l’esperienza del periodo bellico dimostrano come la difficoltà economica non rappresenti necessariamente un elemento drammatico dal punto di vista psicologico.


E’ invece dimostrato che problemi di ansia o depressione affliggono il 34% dei disoccupati e il 16% degli occupati seppure in periodo di crisi. La disoccupazione ha meno effetti negativi sulla psiche quando il tasso di disoccupazione generale è elevato (si chama “effetto norma sociale”) come accade nei Paesi poveri (ma non in Italia).
La perdita del posto di lavoro ha almeno 3 effetti drammatici:

  • La perdita del ruolo sociale (non servo a niente)
  • La perdita dei rapporti interpersonali sul luogo di lavoro (spesso i nostri amici sono i nostri colleghi)
  • La perdita della possibilità di incanalare la nostra capacità creativa (per chi ha la fortuna di svolgere lavori in cui ci si identifichi in pieno)

 

Il suicidio è l’ultima spiaggia, l’esito finale di una disperazione che ha colpito non solo gli imprenditori. Quali sono i sintomi che dovrebbero metterci in guardia?

Il suicidio non è un raptus o un “gesto disperato” ma è la folle soluzione del problema da parte di chi ha raggiunto un grado di estrema disperazione.
Di fatto esiste una correlazione lineare tra disoccupazione e suicidio: per ogni punto percentuale di disoccupazione aumenta dello 0.79% il tasso dei suicidi sotto i 65 anni. Durante la grande crisi che colpì le economie asiatiche nel 1997 i suicidi aumentarono del 40%, rispetto all’anno precedente.

Il suicidio è difficilissimo da prevedere, specie in chi non abbia una storia di depressione. A volte è anticipato da apatia e ritiro sociale

 

Gli ammortizzatori sociali di cui si discute tanto in politica hanno un ruolo anche per la salute psichica?

I dati provenienti dall’Unione Europea dimostrano che l’aumento del rischio di suicidi relativo alla disoccupazione è prevenibile grazie a politiche di welfare. Il rischio di suicidio inizia a ridursi (- 0.038%) investendo appena 10 dollari pro capite/anno in politiche del lavoro; quando vengono investiti almeno 190 dollari (= € 140) pro capite/anno l’aumento del rischio di suicidio legato alla disoccupazione risulta perfettamente contrastato.


Inoltre fondamentale può essere l’apporto di altri tipi di ammortizzatori: dopo la caduta del muro di Berlino, gli effetti negativi della crisi sul piano psichico sono diminuiti in quelle aree dove i soggetti erano impegnati nell’associazionismo sindacale e non, nei gruppi sportivi, in comunità religiose o di culto. Questo conferma che l’integrazione sociale, anche quando manca il lavoro, è il migliore antidoto al disagio psichico.