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Demenza giovanile: “è una lotta che dura decenni tra fattori di rischio e di protezione” secondo il Prof. Rossini dell’IRCCS San Raffaele

22 Maggio 2024

Nel mondo 119 persone ogni 100.000 sviluppano una demenza prima dei 65 anni, per un totale stimato di 3,9 milioni di casi. Il fenomeno è in forte crescita e si chiama “demenza giovanile”. In una intervista rilasciata al quotidiano ‘Repubblica’ il Prof. Paolo M. Rossini, Responsabile del Dipartimento di Neuroscienze dell’IRCCS San Raffaele, commenta lo studio anglo-olandese, pubblicato su Jama Neurology, che identifica 15 precisi fattori “significativamente associati” ad alti rischi di sviluppare forme di demenza ad esordio precoce.

Elementi quindi che con anticipo di anni indicherebbero una propensione decisa a sviluppare la demenza giovanile: basso livello di istruzione e status socio-economico, isolamento sociale e depressione, alti livelli della proteina c reattiva nel sangue, bassi livelli di vitamina D, essere portatori di due tipi di variazioni genetiche della apoliproteina E, cattivo udito e ipotensione ortostatica, diabete e malattie cardiache, ictus e poca forza, bere troppo alcol e non berne per nulla. Ma secondo il professore “la stragrande maggioranza di questi parametri sono ben noti e non costituiscono quindi una reale novità”.

“Lo studio si basa su un’analisi di fattori demografici, socio-economici e di anamnesi medica su di un’amplissima popolazione che al momento dell’inclusione aveva età inferiore a 65 anni. Di questa amplissima popolazione, seguita dal 2006 al 2021, alcune centinaia di soggetti hanno sviluppato una forma di demenza in età superiore a 65 anni, mentre altre centinaia una forma di demenza definita “giovanile”, cioè di età inferiore ai 65 anni. In questa seconda popolazione (quella ad esordio giovanile) sono stati identificati una quindicina di parametri associati ad un aumentato rischio” spiega il professore. “Comunque l’articolo, giustamente, non parla assolutamente di diagnosi precoce, ma solo di definizione individuale di livello di rischio sulla base del quale poter attuare delle campagne di almeno parziale prevenzione o di distanziamento nel tempo dell’esordio della eventuale malattia”.

Ma il nodo cruciale è che “come in molti altri studi recenti, non si tiene conto del fatto che la demenza neurodegenerativa è il risultato di una lotta che dura decenni tra fattori di rischio e fattori di protezione” evidenzia Rossini. “Sappiamo sempre di più dei primi e molto poco dei secondi. È importante tenere presente questo fatto perché, se in un individuo ad altissimo rischio perché presenta,  ad esempio, ben 13 dei 15 fattori di rischio descritti nell’articolo, è al contempo presente una formidabile resistenza a causa di tanti fattori di protezione, la malattia di fatto non si presenterà mai con i suoi sintomi progressivi, o lo farà molto tardivamente, con andamento lentamente progressivo” spiega. “Nelle forme giovanili pertanto si deve attuare un doppio scenario” conclude l’esperto “e cioè la presenza di numerosi fattori di rischio combinati tra di loro e l’assenza di fattori di protezione adeguati“.