News > Demenze: dormire bene rallenta l’invecchiamento del cervello
Ne parla il Prof. Paolo Maria Rossini, Direttore del Dipartimento Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell’IRCCS San Raffaele
Chi dorme non piglia pesci, ma il mito dell’efficienza e dell’iperattività a discapito del sonno non porta benefici secondo la scienza. Durante la notte avviene infatti il cosiddetto ‘brainwashing‘, ossia quella fondamentale operazione di pulizia delle cellule cerebrali che consente di eliminare le sostanze tossiche che altrimenti si accumulerebbero facendo aumentare il rischio di demenza.
Diversi studi scientifici dimostrano infatti quanto sia importante la buona qualità del sonno per rallentare l’invecchiamento del nostro cervello. “Il sonno è un meccanismo attivo e molto delicato durante il quale il corpo e tutti i suoi organi si ricaricano” spiega il Prof. Paolo Maria Rossini, Direttore del Dipartimento Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell’IRCCS San Raffaele. “Vengono eliminati molti cataboliti, cioè sostanze di scarto del metabolismo umano a tutti i livelli, vengono prodotti in quantità superiore alla veglia molti ormoni, vengono fissate le memorie del vissuto quotidiano del giorno appena terminato tramite azioni sulla plasticità delle sinapsi”.
Un legame stretto tra il rischio di sviluppare demenza e una cattiva qualità di sonno non è ancora stato completamente dimostrato, ma numerosi studi epidemiologici confermano che esiste una stretta correlazione tra di essi. “Le caratteristiche del sonno delle persone affetti da demenza, anche nelle sue forme molto inziali o addirittura prodromiche” prosegue Rossini “mostra differenze molto specifiche rispetto al profilo ipnico, cioè le contrazioni involontarie, di soggetti anziani non dementi”. Relegare tutto al metabolismo della beta-amiloide e della tau, due dei numerosi presunti killer alla base della demenza di Alzheimer e della demenza fronto-temporale, risulta quindi riduttivo. Secondo il professore “è molto interessante e suggestiva l’osservazione che nel corso delle fasi III e IV del sonno non-Rem si aprono dei canalini che fanno passare onde successive di liquido cefalo-rachidiano, il liquido che circonda e riempie tutti gli spazi attorno e all’interno del sistema nervoso centrale, che lava via i cataboliti dell’amiloide riducendo o impedendo la sua aggregazione in fibrille che poi si potrebbero aggregare ulteriormente nelle placche tipiche dell’Alzheimer”.
Purtroppo, con l’avanzare degli anni si tende a dormire meno rendendo più difficile l’eliminazione delle sostanze tossiche che si accumulano nel cervello. Per questo, gli scienziati stanno cercando di capire come migliorare il sonno degli anziani, in modo da contribuire a mantenere in salute il cervello il più a lungo possibile. “La riattivazione del sonno profondo o meglio il suo prolungamento” risponde Rossini “è possibile utilizzando degli stimoli che tendano a sincronizzare sui ritmi delle onde lente dell’elettroencefalogramma tipico delle fasi III e IV del sonno non-REM, una sinusoide con onde ampie nell’ordine dei 2-3 cicli al secondo. Questo si può ottenere o con stimoli acustici o, a mio avviso ancora meglio, con correnti elettriche di bassissima intensità erogate in fase con le onde lente dell’elettroencefalogramma del paziente”. Un po’ come quando si fa rimbalzare la palla con la mano adattando la forza e il ritmo in modo da renderlo sempre più ampio e lento. Anche in Italia sono in corso diverse esperienze di questo tipo. “Noi stessi al San Raffaele, con il professor Luigi De Gennaro della Sapienza di Roma” conclude Rossini “stiamo portando avanti uno studio per la messa a punto di un device che induca il sonno attraverso un elmetto che eroga correnti elettriche di questo tipo attraverso una app installata sul cellulare. L’ipotesi teorica è robusta, ma l’attuazione pratica necessita ancora di vari passaggi di validazione prima di essere proposta in ambito medico”.