News > Il prof. Salvatore Giaquinto ci parla di idrochinesiterapia…
La tecnica di riabilitazione in acqua ha come scopo principale il recupero funzionale in tempi brevi dei pazienti che hanno subìto traumi cranici, ictus cerebrali o che sono affetti da patologie osteo articolari complesse di vario genere. Questa peculiare tecnica riabilitativa consente inoltre di ridurre il più possibile le complicanze post-operatorie e di permettere un reinserimento celere nell’ambiente socio-lavorativo. Oggi si sta rivelando molto efficace una nuova forma di riabilitazione in piscina: l’idrochinesiterapia. Abbiamo chiesto al prof. Salvatore Giaquinto, Responsabile dell’Unità Operativa di Riabilitazione Neuromotoria dell’IRCCS San Raffaele, di enuclearci le principali caratteristiche di questa innovativa terapia riabilitativa.
L’idrochinesiterapia viene usata quando il paziente deve essere alzato precocemente e quindi deve camminare il più presto possibile. Ad esempio, nel caso di fratture del femore operate, delle artroprotesi di anca e di ginocchio e della paraparesi, ossia della debolezza degli arti inferiori quando c’è una compressione midollare all’altezza del tratto cervicale.
Professore, in che modo agisce l’acqua?
“L’acqua è utile per molte ragioni, la prima delle quali è l’effetto della pressione idrostatica: se un corpo è immerso fino all’ombelico perde la metà del proprio peso, se è immerso fino al collo ne perde il 90 per cento, quindi in tal caso risulta più facile far camminare la persona. Inoltre, l’acqua è utile perché genera resistenza, pertanto camminando contro resistenza si migliora il lavoro muscolare e si applica un esercizio di tipo isometrico. L’acqua è utile anche per la sua temperatura, che stimola la circolazione sanguigna. Non bisogna poi sottovalutare l’importanza della componente psicologica e di socialità di questo tipo di riabilitazione”.
Quali sono in media i tempi di recupero dei pazienti sottoposti all’idrochinesiterapia?
Nei casi ortopedici, come ad esempio l’artroprotesi, i tempi di recupero sono di tre settimane, mentre nei casi neurologici sono più lunghi.
Valeria Biferali