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Il Professor Barbanti a Rai Tre: “Ecco perché ridere fa bene”

21 Aprile 2008

Che cosa rappresentano il riso ed il pianto? Riportiamo alcuni brevi stralci dell’intervista sull’argomento che il Professor Piero Barbanti, Direttore dell’Unità per la Ricerca e la Terapia delle Cefalee dell’IRCCS San Raffaele Pisana, ha rilasciato alla trasmissione Geo&Geo di Rai Tre.

Professore, c’è differenza tra ridere e sorridere?

Certamente sì. Si provi a ridere contro voglia: è quasi impossibile, è una virtù da attori. E’ difficile come simulare uno starnuto, che è anch’esso un riflesso. Il sorriso invece è il prodotto dalla contrazione dei muscoli facciali senza il concorso dei muscoli respiratori ed è eseguibile anche “senza ispirazione”.

Si dice che “ridere fa buon sangue”. E’ vero quindi che fa bene?

Non solo fa bene, perché aumenta la pressione e la frequenza cardiaca e migliora la risposta immunitaria riducendo i livelli di catecolamine, cortisolo e ormone della crescita, ma conviene. Lo sosteneva già Darwin: il riso è un’espressione di felicità, che comporta una maggiore coesione sociale e una maggiore possibilità di sopravvivenza. Sorridere è una importante tecnica della comunicazione. I “musoni” sono svantaggiati.

Il riso puo’ essere contagioso?

Senza dubbio: nel 1962 ci fu una epidemia di risate nel distretto di Bukoba in Tanganika presso studentesse con età tra 12 e 18 anni che durò settimane e comportò la chiusura delle scuole per vari mesi!

E’ possibile ridere anche senza “essere felici”?

Sì. Il centro del riso è paragonabile ad un meccanismo a molla carico e pronto per scattare in cui venga inserita una sicura. Questa è il freno inibitorio proveniente dalla corteccia prefrontale. In alcune circostanze questo freno inibitorio viene meno ed il centro del riso si sblocca anche se in realtà non vorremmo ridere: è il caso del solletico, dei gas esilaranti e di alcuni farmaci. Quando siamo molto stanchi può capitare di ridere per un nonnulla (e nei bambini di piangere per un nonnulla) probabilmente perché la corteccia che monta di guardia a questo meccanismo è anch’essa “stanca” e quindi meno spietata nella sua opera di censura.