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La pratica del TAIJIQUAN (TAI-CHI) applicata alla malattia di Parkinson

14 Dicembre 2010


Nella cura del parkinson si stanno affermando anche nuove strade come ad esempio, quella di coniugare le cure occidentali con i saggi consigli dell’antica medicina cinese e i suoi esercizi psico-motori, quali il TAIJIQUAN
Ne parliamo con Sergio Raimondo, esperto di questa disciplina e professore presso la Facoltà di Scienze Motorie dell’Università di Cassino, cattedra di Discipline Orientali dell’auto percezione.

Il Professor Raimondo, insieme alla dottoressa Maria Francesca De Pandis, ha coordinato la seconda fase di sperimentazione sulla pratica del TAIJIQUAN applicata alla malattia di Parkinson, che si è svolta nel 2010 al San Raffaele Cassino.


Prof. Raimondo, ci spiega cos’è il TAIJIQUAN e quali effetti può avere questo tipo di terapia sui malati di Parkinson?

Il TAIJIQUAN è un’antica disciplina psicofisica di origine cinese. Nasce come arte marziale ma si diffonde negli ultimi decenni come tecnica di longevità che ha, come principale caratteristica, quella di essere disponibile per tutti, anche per gli ammalati.
Questo perché chi “pratica”il TAIJIQUAN lo fa “in assenza di sforzo”: durante gli esercizi l’attenzione si concentra principalmente sulla postura, che deve essere assolutamente rilassata. Il rilassamento riguarda non solo la condizione fisica ma anche quella mentale ed emozionale. La pratica investe l’intera persona, in un rapporto corpo mente alla luce del rilassamento.

L’esercizio in assenza di sforzo con ritmi lenti, è fondamentale. Si può dire che la lentezza coniugata al rilassamento rappresentano gli elementi decisivi di questa tecnica.

TAIJIQUAN e Parkinson. Ci spiega i benefici che i malati di parkinson possono avere dalla pratica di questa antica arte cinese?

Il TAIJIQUAN migliora l’equilibrio e la propriocezione (la capacità di percepire e riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio e lo stato di contrazione dei propri muscoli, anche senza il supporto della vista).

I benefici che un paziente di parkinson può trarre dal TAIJIQUAN sono innumerevoli: generico miglioramento dell’equilibrio, dell’andatura, della capacità di adeguarsi agli stimoli esterni, dell’attenzione, con conseguente maggiore consapevolezza di sé, del rilassamento e della riduzione delle circostanze che provocano stress o ansia.
Mi preme inoltre sottolineare che il TAIJIQUAN può avere un’azione neurologica importante, in particolare sui neurotrasmettitori: è infatti dimostrato che consente una diminuzione di cortisolo e noradrenalina, ormoni che aumentano in condizioni di stress. Aumentano invece serotonina e melatonina, che compaiono in condizioni di piacere e benessere.

In sintesi possiamo dire che il TAIJIQUAN può migliorare la qualità della vita del malato di parkinson, ma va sempre associato alle cure farmologiche.

I pazienti a cui proponete questo tipo di terapia come reagiscono? Sono inizialmente diffidenti?

I pazienti inizialmente sono molto diffidenti anche perché la maggioranza non sa assolutamente cos’è il TAIJIQUAN. Inizialmente lo praticano con una certa resistenza, ne sono attratti ma non seguirebbero questo percorso se non fossero adeguatamente stimolati dai sanitari. Questo perché in un primo momento di sentono molto impacciati, incapaci, quasi inibiti.

Col tempo la situazione cambia, e, anzi abbiamo numerose testimonianze di persone che hanno ritrovato grande autostima in se stessi proprio grazie al TAIJIQUAN.