News > L’equinismo può essere curato
Molti bambini, nati prematuri, soffrono della paralisi di alcuni muscoli a causa dell’incompleto sviluppo nel ventre materno. Si tratta di una invalidante forma di spasticità chiamata equinismo, una disabilità motoria che se trattata opportunamente può anche non cronicizzarsi, tanto che in alcuni casi il recupero funzionale è pressoché completo. Altre volte la situazione è talmente grave da mettere in pericolo anche la possibilità di camminare. Ne abbiamo parlato con il prof. Giorgio Albertini, Direttore del Centro per lo Sviluppo infantile dell’IRCCS San Raffaele Pisana di Roma che ci ha raccontato la storia di Francesco.
“Lo sguardo di Francesco mi accompagna sempre. Da quando aveva due anni camminava appoggiandosi sugli alluci e saltellando, come se danzasse. Solo che per Francesco questo non era affatto un gioco, era l’unica possibilità di muoversi. Si era abituato alla sua condizione di bambino con un equinismo divenuto rigido (questo il nome del male di cui soffriva), ma non dava la sensazione di rattristarsene granché, anche se qualche volta i dolori erano forti”.
Cosa ne sarebbe stato di lui con lo sviluppo?
“Francesco riusciva a camminare grazie a una strategia naturale dell’anca, ma non poteva poggiare il tallone. Alla fine di ogni giornata era esausto e il suo equinismo rigido piuttosto che passare si consolidava in maniera drammatica. La sua situazione, se non si prendevano al più presto decisioni coraggiose, rischiava di diventare tragica: c’era la concreta possibilità che un giorno non lontano smettesse di camminare, completamente. In questi casi occorre valutare la qualità della vita dell’individuo di cui ci si prende cura. Com’è, come sarà e come potrebbe essere”.
Cosa avete fatto allora?
“Abbiamo consigliato l’operazione. Prima di me e dei miei collaboratori, altri medici avevano visto il bambino, preoccupandosi del contrario, cioè che Francesco dopo l’operazione rischiasse la paralisi. Ma noi ci eravamo accorti che il suo piede aveva ancora forza e che quindi gli sarebbe stato possibile mettere giù il tallone, perché il complesso della caviglia non era del tutto compromesso. Potevamo operare. Dovevamo operare”.
Come siete giunti a questa decisione?
“Eravamo una bella equipe affiatata e collaudata: il neurologo, l’ortopedico, il bioingegnerie, il terapista, il fisiatra, lo psicologo e naturalmente il chirurgo. Abbiamo accolto Francesco al Centro per lo Sviluppo Infantile dell’IRCCS San Raffaele Pisana e ci siamo presi cura di lui, misurando preliminarmente il suo stato emotivo, la potenza muscolare, lo stato fisico e tutti quei parametri che ci hanno consentito di scegliere la strada giusta. Dopo otto mesi di analisi, visite e consulti Francesco è stato operato all’Ospedale Bambin Gesù a Roma”.
Come è andata a finire?
“Dopo un mese il nostro ex ballerino era già in piedi e camminava appoggiandosi sul tallone, normalmente. Non eravamo stati solo fortunati”.
In che senso?
“Il grande Gerald Edelmann, neurologo che fa scuola, ha spiegato ampiamente con la teoria delle reti neurali che il cervello fissa in abituali comportamenti quello che più frequentemente sperimenta. In altre parole, se noi avessimo dato al bambino una condizione anatomica nuova, data la sua giovane età, sarebbe stato possibile abituare il suo cervello a uno schema di movimento e di deambulazione diversi. Oggi Francesco, che è un bel ragazzo di 16 anni, cammina regolarmente e ha una vita normale”.