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L’insonnia: quanto costa agli italiani e quali sono i rischi e le cure, dai sonniferi ai rimedi naturali

20 Novembre 2013

Dal San Raffaele i consigli del neurologo

Il 10% degli italiani assume sonniferi. Negli ultimi 13 mesi la spesa per l’acquisto di ipnoinduttori è stata di ben 127 milioni di euro. La realtà è piuttosto bizzarra perché uno studio chiamato “Morfeo” ha dimostrato che sul 66% di italiani che episodicamente non dorme solo il 16% prende i sonniferi. Ne deriva un uso inconsulto: spesso chi dovrebbe prenderli non li prende e viceversa.

A spiegarlo è il Prof. Piero Barbanti, neurologo dell’IRCCS San Raffaele Pisana di Roma, il quale precisa che «i sonniferi non sono tutti uguali. Sino al 1960 esistevano solo i barbiturici, che comportavano rischi molto elevati. Poi sono nate le molecole rivoluzionarie, quei tranquillanti chiamati benzodiazepine che hanno in casa praticamente tutti gli italiani». Ma quali sono le principali cause dell’insonnia? «In primo luogo lo stress, l’insonnia psicosociale», spiega il neurologo, «però non sempre non dormiamo per problemi di sonno. Per esempio dorme male chi russa, chi ha apnea, reflusso: si tratta di un sonno quindi poco riposante. Bisogna sempre chiedere al medico se la nostra è una vera insonnia, cioè un problema neurologico, oppure un problema internistico: in quest’ultimo caso il sonnifero è addirittura dannoso».

«È meraviglioso il meccanismo con cui si innesca il sonno», afferma Barbanti parlando del funzionamento dei sonniferi, «il “bacio della buonanotte” ce lo dà una molecola del cervello chiamata Gaba che, come se fosse un’ape, va a toccare col suo pungiglione un recettore. Questo tranquillante, la benzodiazepina, apre la “corolla” e facilita alla Gaba di rilassare il neurone. Sembrerebbe un meccanismo semplicissimo e innocuo, in realtà non è così perché questo tipo di tranquillanti può rilassare la muscolatura: per esempio il russatore, rilassandosi, russa di più e dorme di meno».

«Un passo avanti», prosegue, «è stato fatto circa 15 anni fa con i cosiddetti “sonniferi Z”, il cui nome cioè inizia per zeta. Questi ultimi sono più specifici, non sono calmanti, e hanno una vita nel sangue abbastanza contenuta. L’effetto del sonnifero nel nostro organismo non dura quanto dura la notte: pochi, purtroppo, sono i sonniferi che hanno vita breve nel sangue e questo ha delle ripercussioni importanti. Quando la sera si prende il farmaco, abbiamo ancora in circolo quello di ieri e un pizzico di quello dell’altro ieri e quindi c’è il rischio dell’accumulo. E poi, il giorno dopo, il rischio di essere meno pronti nei riflessi, meno stabili: questo è un grave problema ad esempio per chi usa macchinari a lavoro».

La dipendenza: sicuramente un tallone d’Achille per questo tipo di medicinali, ma non è di certo l’unico. «La luna di miele con i sonniferi, soprattutto con quelli di vecchia generazione, si interrompe abbastanza presto perché compare la tolleranza: se nel primo periodo ne basta una compressa, dopo 5 anni serve un dosaggio maggiore e spesso può nascere la dipendenza. Un altro dei problemi è che raramente producono un sonno normale perché tendono a sopprimere la fase Rem, la fase del sogno, che non è solo psicologicamente stimolante e importante, ma attraverso di essa abbiamo l’attivazione di una serie di aree cerebrali e la memorizzazione. Si tratta quindi di un sonno alterato».

L’insonnia non è solo un disturbo molto fastidioso per il soggetto che ne soffre ma, quando diviene cronica, diventa una vera e propria malattia per l’organismo. «Chi soffre di insonnia cronica rischia di essere iperteso, diabetico, obeso e depresso. Sta comunque al medico stabilire quando si tratta di insonnia vera e propria o meno. Molte persone prendono il sonnifero “a prescindere”, per paura di non dormire, come se si trattasse di una specie di ansia da prestazione. Il sonno va invece coltivato e organizzato. Il sonnifero non deve essere gestito da noi, non è un analgesico. È stato dimostrato che dopo 3 anni quasi nessun paziente è tornato dal medico a comunicargli se riesce o meno a dormire e quindi continua a prendere un farmaco non solo pericoloso ma anche inutile. In genere la regola vuole che quando si supera un mese dall’assunzione, si torni a parlare col medico, tenendolo aggiornato e informato».

Poi ci sono i rischi del “passaparola”. Il consiglio del neurologo è quello di «non prendere sonniferi dagli sconosciuti e di non consigliarli, anche in buona fede, come una madre potrebbe fare col figlio, o ancora peggio un figlio con la madre, in quanto nel caso degli anziani questo processo è ancora più pericoloso».

Infine, le alternative naturali, che esistono, e che tutti, in determinati periodi della nostra vita, abbiamo provato. «Di scientificamente testato», conclude Barbanti, «c’è l’acido valerianico, la valeriana, e una serie di erbe della medicina tradizionale cinese, della quale esistono 217 studi controllati che contengono dalla curcuma alla salvia alla liquirizia, addirittura, e ad altre sostanze che servono in qualche maniera come primo approccio».