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L’ortoterapia nei giardini terapeutici

12 Settembre 2014

Coltivazione di piante e ortaggi, cura di una singola pianta, gestione di un terreno, raccolta dei frutti, tutte attività “verdi” che stimolano i sensi del tatto, dell’udito, dell’olfatto e della vista. Difficile da credere, per l’uomo ipertecnologico del XXI secolo, che la natura possa esercitare un’influenza terapeutica sul benessere psicofisico dell’individuo e della comunità. Studi recenti dimostrano proprio che l’azione terapeutica svolta dalle piante è un toccasana contro l’ansia che caratterizza la routine quotidiana e si rivela una tecnica riabilitativa in soggetti malati, depressi o disabili.

 

La secolare storia dell’ortoterapia

L’ortoterapia affonda le sue radici in una storia secolare. Nacque quasi accidentalmente intorno al 1600 quando ai pazienti meno abbienti che non erano in grado di pagare, veniva chiesto di prendersi cura, durante il ricovero, del giardino dell’ospedale. I medici constatarono con stupore che questi malati guarivano più in fretta rispetto ai pazienti più ricchi che potevano permettersi di pagare l’ospedalizzazione. L’ortoterapia venne riscoperta in Inghilterra nel dopoguerra: attraverso il contatto con la natura gli ex soldati riacquistavano salute, capacità motorie, stabilità mentale e gioia di vivere. Mentre in Europa questa terapia sta muovendo i suoi primi passi, negli Stati Uniti viene praticata da circa 40 anni.

 

Il rapporto “attivo” con la natura

Tutti noi, del resto, conosciamo bene l’influsso benefico che può trasmetterci una semplice passeggiata al parco quando siamo stanchi o stressati. Il semplice contatto con l’ambiente, i profumi, i suoni, i colori, riesce ad avere un’influenza positiva sull’umore. Alla luce di ciò, si può ben capire come un rapporto “attivo” con la natura possa, a maggior ragione, favorire e amplificare le naturali proprietà terapeutiche degli spazi verdi.

 

Gli obiettivi

Curare particolari patologie, disabilità o condizioni come stress, depressione, ansia: questo l’obiettivo dei cosiddetti “giardini terapeutici”, spazi comuni dove si ritrova la fiducia in se stessi, la voglia di lavorare e di creare tramite la cura di un essere vivente. Un’attività che deve coinvolgere, attraverso un programma di obiettivi mirati, tutto il personale sanitario specializzato e le famiglie dei pazienti. Nuove speranze, nuove motivazioni, nuovi stimoli: è questo il sostegno che l’ortoterapia può dare ai soggetti che soffrono di gravi patologie come ad esempio l’Alzheimer. Da non sottovalutare l’importanza del lavoro di gruppo: le attività svolte in un giardino terapeutico possono infatti facilitare la socializzazione, combattere il senso di isolamento e di inutilità personale tipici di condizioni come l’autismo o gli stati paranoici. Inoltre, il seppur limitato sforzo fisico esercitato durante la terapia negli spazi verdi è utile nei casi di astenia o nelle convalescenze. Il pollice verde fa quindi bene alla salute. Basta poco: terra, semi, vasetti, materiale riciclato, per creare un ambiente unico che oltre a dare sfogo alla nostra creatività rappresenta un’esperienza multisensoriale benefica per il corpo e per la mente.

 

Attività terapeutiche e benefici

Naturalmente l’ortoterapia non può rappresentare una terapia a sé, ma costituisce uno strumento in più che va ad integrare il percorso sanitario di uno specifico soggetto. Non ha controindicazioni, ma possiede invece numerosi effetti positivi. Ad esempio aiuta a sviluppare la motricità: seminare, potare, raccogliere i frutti stimolano infatti il movimento favorendo anche il coordinamento, l’incremento della forza e della resistenza. Migliora la capacità di apprendimento attraverso attività come la memorizzazione del nome di alcune piante, di nozioni spazio-temporali, la percezione della ciclicità delle stagioni, l’identificazione dei tempi adatti per la semina e il raccolto e l’organizzazione degli spazi del giardino. Sono tutte operazioni che rafforzano la sfera cognitiva dell’individuo, stimolando concentrazione, capacità logiche e memoria. Il soggetto inoltre esercita un ruolo attivo, da cui scaturiscono frutti concreti e tangibili: fattore che incrementa l’autostima. Il suo ruolo non è però isolato e si inserisce nell’ambito di un intento comune, condividendo col gruppo di lavoro spazi, strumenti e obiettivi e favorendo quindi l’integrazione sociale.