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Ogni anno 14mila persone sopravvivono ad una Grave Cerebrolesione Acquisita

5 Settembre 2006

In Italia esistono pochi dati epidemiologici che stimano a 250 casi su 100.000 abitanti/anno l’incidenza del Trauma Cranio Encefalico (TCE) (Servadei, Ciucci et al. 1988).
In una città come Roma, ogni anno finiscono in Ospedale per Grave Trauma Cranico oltre 7.000 persone.
 
In carenza di dati italiani, in genere si fa riferimento a dati internazionali che sono solo parzialmente trasferibili nella nostra realtà (Tiret, Hausherr et al. 1990), (Harrison and Dijkers 1992), (Thurman, Jeppson et al. 1996; Thurman and Guerrero 1999).

Il problema si complica se consideriamo la totale carenza di dati sulla prevalenza delle sequele disabilitanti (ci sono studi per lo più locali o regionali) e i pochi dati sui percorsi di cura.

Ad esempio i risultati dei due studi (2001) effettuati in Emilia Romagna consentono di stimare a circa 1300 il numero delle persone che annualmente sopravvivono, in detta regione, a una Grave Cerebrolesione Acquisita, di entità tale da rendere necessario il ricovero per almeno 5 giorni presso una U.O. di Terapia Intensiva o Neurochirurgia; di queste, un numero stimabile attorno alle 300 persone/anno necessita di ulteriore ricovero in ambente riabilitativo dopo la fase acuta.


Sulla scorta dei dati a nostra disposizione, si può così dimensionare il fenomeno nel nostro Paese:

  • 14.000 il numero delle persone che annualmente 
                                     sopravvivono a una Grave Cerebrolesione 
                                     Acquisita (di sola matrice traumatica!)
  • 6.000 il numero di persone che in un anno  
                                     necessita di ulteriore ricovero in ambiente 
                                     riabilitativo per effettuare cicli di 
                                     riabilitazione ad alta intensità (R.A.I.)

 

Com’è ovvio, la carenza dei dati relativi alla numerosità del fenomeno, rende problematico dimensionare l’intervento e programmare congrue risposte ai bisogni del Paziente con Gravi Cerebrolesioni Acquisite.

D’altronde, anche basandosi sulle esperienze internazionali, v’è da dire che esse sono per lo più limitate ai soli traumi cranici (che rappresentano soltanto il 50 % delle Gravi Cerebrolesioni Acquisite).

Per colmare questa lacuna, la SIMFER (Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitazione) ha effettuato uno studio retrospettivo multicentrico che ha coinvolto 16 centri italiani per 2 anni con la raccolta di oltre 600 casi.

Due indagini sull’ incidenza delle gravi cerebrolesioni acquisite (GCA) e sui percorsi di cura delle persone che ne sono affette sono state svolte nell’ambito del progetto GRACER. Altra importante indagine è quella dello studio GISCAR (i cui dati verranno comunicati in sede congressuale).

PERCHE’ LE GRAVI CEREBROLESIONI ACQUISITE RAPPRESENTANO UN PROBLEMA SANITARIO E SOCIALE RILEVANTE?

Come ricorda Boldrini (2006) i motivi sono diversi e tutti decisamente validi:

  1. Per la elevata incidenza e prevalenza di queste patologie, che colpiscono spesso giovani  e adulti in piena età scolastica o lavorativa (solo per le gravi cerebrolesioni traumatiche, si stima che ogni anno in Italia circa 14.000 persone all’anno siano affette da trauma cranioencefalico “grave” o “gravissimo”, con stato di coma più o meno protratto; si stima che almeno la metà di esse, oltre alle cure intensive e neurochirurgiche,  necessitino di trattamenti riabilitativi specializzati, lunghi e costosi, a causa di menomazioni fisiche, mentali, comportamentali, e di misure di assistenza a lungo termine. Circa un quarto di esse non sarà in grado di riprendere l’attività scolastica o lavorativa precedente);
  2. Per la numerosità e la complessità delle sue sequele disabilitanti di tipo sensomotorio, comportamentale, cognitivo; 
  3. Per l’impatto emotivo e materiale  sul sistema famigliare della persona colpita, con necessità frequente di profonde modificazioni nello stile di vita dei componenti della famiglia stessa;
  4. Per le conseguenze sociali in termini di difficoltà di reinserimento scolastico o lavorativo;
  5. Per la necessità di elevato impiego di risorse, sia in ambito sanitario che sociale, con interventi complessi e prolungati nel tempo, diversificati in funzione del fabbisogno specifico della persona cerebrolesa e del suo nucleo familiare.