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“Per non dimenticare”, il 12 febbraio a Firenze un convegno dedicato alla memoria di Sergio Levi, uno dei padri della neuropsichiatria infantile

9 Febbraio 2016

Il ricordo della nipote Costanza, responsabile del centro di riabilitazione pediatrica all’IRCCS San Raffaele Pisana

Sergio Levi era una giovane promessa della pediatria. Era ebreo, e per questo nel 1938 fu bandito dall’Università di Firenze. Molti suoi parenti furono catturati e deportati nei campi di concentramento, dove morirono. Lui e la sua famiglia, invece, riuscirono a rifugiarsi per quasi due anni in Svizzera, sfuggendo alle persecuzioni. Tornato a Firenze, non poté riprendere la carriera universitaria, ma nominato Direttore dell’Istituto Medico Pedagogico Umberto I, divenne uno dei padri della neuropsichiatria infantile, fino alla precoce morte all’età di 56 anni.

La sua storia e il suo contributo scientifico verranno ricordati il 12 febbraio, presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer di Firenze, con il convegno “Per non dimenticare”. Tra gli interventi, anche quello della nipote di Sergio Levi, Costanza, responsabile del centro di riabilitazione pediatrica all’IRCCS San Raffaele Pisana di Roma.

«La partecipazione a questo evento», spiega la Dott.ssa Costanza Levi, «è stata per me un’occasione molto ricca di interesse sia sul piano personale che scientifico: attraversando gli scritti di Sergio Levi mi sono resa conto di tante analogie e di tante differenze tra la neuropsichiatria infantile dell’epoca e quella attuale. Ma sono rimasta soprattutto colpita dall’aver condiviso con mio nonno, senza saperlo, tante convinzioni in merito questa disciplina e tanti principi che regolano il mio modo di lavorare».

«L’attività che svolgo al S. Raffaele», continua, « è basata, tra l’altro, sul lavoro di équipe multidisciplinare, che è stato uno dei cavalli di battaglia di mio nonno. Ecco una delle cose che scriveva in merito: nell’équipe “…ciascuna disciplina, nella sua specialità e peculiarità, rappresenta un elemento indispensabile ma parziale e frammentario, dovendo nutrirsi di nozioni proprie delle altre discipline in un rapporto di interdipendenza, ma con l’obiettivo unitario di garantire all’individuo l’equilibrio e il benessere nell’armonica convivenza con gli altri individui della società”».

«Non ho avuto la possibilità di conoscere mio nonno», conclude la Dott.ssa Levi, «ma ho capito che era un uomo molto aperto al dialogo e all’ascolto, e pensava che il confronto con gli altri fosse fonte di un arricchimento continuo che permetteva di arrivare sempre a nuove e migliori definizioni delle conoscenze e convinzioni precedenti. Penso che avrebbe condiviso con me la massima che mi accompagna da molto tempo: “finché c’è dubbio, c’è speranza”».