News > Return To Work: lettura magistrale del professor Giaquinto al IX Congresso SIRN
Nei prossimi giorni il professor Salvatore Giaquinto, responsabile della U.O. di Riabilitazione Neuromotoria dell’IRCCS San Raffaele Pisana, prenderà parte al IX Congresso della SIRN, dove presenterà una lettura magistrale sul tema del ritorno al lavoro della persona disabile. Ma quali sono le più frequenti cause di disabilità? E quali sono gli esiti di un trauma o di una malattia invalidante sulla vita lavorativa della persona che ne è colpita? Ne parliamo con il professore.
Professor Giaquinto, quali temi tratterà in occasione del convegno SIRN?
Innanzi tutto presenterò le attuali conoscenze circa il ritorno al lavoro (RTW: Return To Work) dopo trauma cranico e lesione cerebrale (TBI: Traumatic Brain Injury). Ogni 15 secondi nel mondo c’è un trauma cranico. Le cause di lesione più frequenti sono gli incidenti stradali, le cadute accidentali su superfici taglienti, le rapine, gli eventi militari e i traumi sportivi.
Quali sono gli esiti di TBI e quanto spesso la persona che ne è colpita può tornare al lavoro?
In riabilitazione si considerano sia i fattori predittivi di favorevole RTW, sia i correnti problemi per strategie riabilitative onde raggiungere il RTW. Le conseguenze funzionali per le vittime di TBI posono essere gravi. La riabilitazione intensiva si concentra sulla prima fase e sui deficit nelle attività della vita quotidiana. Anche un intervento medico corretto può terminare in maniera negativa per il RTW, con severe conseguenze per la persona e per la famiglia, sia economiche sia psicosociali. Persino un leggero TBI può causare problemi a lungo termine in compiti che richiedono attenzione sostenuta. Sembra esserci un’interazione complessa fra caratteristiche pre-morbose, lesione, fattori post lesione, sia personali sia ambientali. La predittività è quindi difficile. Già durante la fase acuta non è facile dire se il paziente uscirà dal coma. Ci sono molti falsi negativi (“è un caso perso”, che invece si sveglia) e molti falsi positivi (“si sveglierà presto”, ma il fatto purtroppo non avviene). Lesione, gravità e perdita di auto-consapevolezza sembrano essere i maggiori indicatori di mancato RTW. Diversi interventi, medici, psicosociali e riabilitativi attualmente programmati in reparti di riabilitazione migliorano le possibilità di RTW. La previsione precisa circa il RTW di un paziente non è ancora possibile, perché i dati della letteratura oscillano addirittura fra il 12 e il 70%. Una significativa proporzione di pazienti con TBI, inclusi i casi gravi, possono avere ritorno a impiego produttivo se auto-sufficienti e se appropriati sforzi sono impiegati a tutto campo. Un approccio comprensivo– medico e psicosociale – può migliorare il risultato finale, magari inserendo adeguata riabilitazione ‘vocazionale’ (VR).
Quali possono essere invece le conseguenze di un ictus?
I danni cerebrali da ictus sono i casi più studiati. Si stima che un ictus si verifichi in circa 200 persone ogni 100.000 abitanti. Gli individui sofferenti per le sue conseguenze, possono avere problemi nel linguaggio, nella vista, possono avere problemi a causa di paralisi e/o spasticità, con abilità come lo scrivere, il disegnare, suonare degli strumenti e nei compiti di precisione. Possono presentare mal di testa e scarsa resistenza. Sono anche suscettibili di recidive. Possono essere influenzati l’equilibrio e l’andatura, e i disturbi neuropsicologici, come l’indebolimento delle capacità di attenzione e pianificazione, la perdita della memoria, e l’eminattenzione, pongono maggiori problemi per il rientro al lavoro. Sbalzi d’umore, ansia e depressione aggravano il problema.
È possibile per quanti soffrono le disabilità conseguenti ad un ictus rientrare al lavoro?
I sopravvissuti all’ictus sono una sfida per l’organizzazione del lavoro durante la sua ripresa. Un’ulteriore conseguenza dell’ictus è la facile tendenza al disinteresse. Molti pazienti stabilizzati vengono quasi dimenticati, sebbene il loro precedente rendimento sia stato molto alto. Nonostante i progressi fatti nello studio delle vasculopatie cerebrali, i pazienti che presentano le spiacevoli conseguenze dell’ ictus sembrano ancora vivere nella stessa maniera insoddisfacente in cui vivevano prima. Terapie progredite per la spasticità, assistenza psicologica ai pazienti e a coloro che se ne prendono cura, i cosiddetti caregivers, maggiori aiuti sociali ed una migliore riabilitazione professionale al ritorno al lavoro, sono tutti approcci da sviluppare per il miglioramento delle condizioni di vita di una classe sfortunata di persone. Un ulteriore problema è lo stress all’interno della famiglia. I pazienti sono spesso criticati da coloro con cui vivono e le critiche più frequenti sono quelle di essere apatici, irritabili ed egocentrici. I sopravvissuti ad un trauma cranico hanno maggiori probabilità di trovare un lavoro, soprattutto perché la loro età è generalmente inferiore ai 35 anni. L’esperienza del lavoro e del suo ambiente sono spesso molto diverse da quelle precedenti la malattia, perché l’improvviso instaurarsi della disabilità non permette una graduale compensazione. Si dovrebbero prendere in considerazione dei cambiamenti emotivi e sociali per un appropriato rientro al lavoro. Nostri dati personali dicono che, in Italia, torna al lavoro il 19% dei pazienti ancora in età lavorativa. La percentuale è bassa se confrontata con il 29% dei Paesi scandinavi e con il 55% del Giappone, ulteriore espressione dell’attaccamento nipponico al lavoro. Quali sono le conseguenze di una lesione spinale sulla vita lavorativa di chi ne è colpito? Il danno alla colonna vertebrale ha un effetto notevole sul benessere della persona a livello funzionale, medico, finanziario e psicosociale. Gli incidenti automobilistici (45%) sono la causa maggiore di danno alla colonna vertebrale nei giovani e si verificano più frequentemente durante l’estate, specialmente di sabato, nelle ore diurne. Il rapporto maschi-femmine tra le vittime è 4:1. Tra coloro che subiscono un danno alla colonna vertebrale vi sono più scapoli che coniugati. Le cadute (meno del 20%) sono più comuni tra persone di 45 anni o più. Gli incidenti sportivi provocano molti casi di danno alla colonna vertebrale, specialmente i tuffi in acque poco profonde. La violenza è una causa meno comune di lesione midollare, ma può esserlo in alcune zone urbane degradate. Altre cause includono disturbi vascolari, tumori, infezioni, spondilosi, disturbi dello sviluppo, condizioni di minor rilevanza per ciò che concerne il rientro al lavoro. In ogni caso il trauma spinale è più comune nei soggetti di età inferiore ai 40 anni, mentre quello non traumatico è più comune negli individui al di sopra dei 40 anni. Il tasso annuale dei matrimoni contratti dopo lesione è del 59% più basso rispetto a quello della popolazione generale comparabile per sesso ed età. Se il trauma spinale colpisce un individuo sposato, il tasso di divorzio nei successivi 3 anni è approssimativamente di 2,5 volte rispetto a quello della popolazione generale. Il tasso è di circa 1,7 se il trauma si verifica prima del matrimonio. I più comuni livelli di danno considerati sono “C5” e “T12”. Secondo la classificazione americana ASIA, A è la mancanza di funzione, B solo scarsa sensibilità, C parziale mantenimento motorio e sensitivo, D attività motoria discreta, E normale. Il più comune quadro clinico è ASIA A. I pazienti classificati come ASIA D sono i più adatti ad impieghi a tempo pieno. Pazienti con maggiore capacità funzionale, danni meno gravi, storie lavorative al tempo dell’incidente, grande motivazione nel ritorno al lavoro, lesioni (non dovute a violenza) e abilità alla guida, sono più portati a lavorare di nuovo. Individui con disabilità, inclusa la lesione spinale, sperimentano un doloroso declino nel lavoro a differenza di coloro senza disabilità. Tuttavia, essi sono generalmente desiderosi di riprendere il lavoro e raramente si trova l’assenteismo.
Come può influire invece una amputazione sul rientro al lavoro del paziente?
L’amputazione è una condizione acquisita che si risolve nella perdita di una parte del corpo, di solito dovuta a lesione, malattia o asportazione chirurgica. Tale condizione pone altri cambiamenti per il ritorno al lavoro. In generale, l’82% delle amputazioni sono dovute a malattie vascolari, il 22% a traumi, il 4% sono congenite e un altro 4% sono dovute a tumori. Circa 1,2 milioni di individui negli USA vivono con una amputazione, e 185.000 sono gli interventi eseguiti ogni anno. L’amputazione, anche di una piccolissima parte di un dito, si rivela come una perdita, funzionale e psicologica. Meno della metà dei soggetti con amputazione parziale della mano possono riprendere lo stesso lavoro come prima dell’amputazione. Meno di un terzo indossano protesi al silicone e lavorano regolarmente. Il risultato è lievemente migliore dopo l’amputazione di arti inferiori. Il tasso di ripresa del lavoro è del 66%, ma in molti casi non si può conservare la stessa occupazione. Comunque il 70% dei lavoratori giudica la propria condizione lavorativa soddisfacente. La perdita di un arto produce una disabilità permanente che può pregiudicare immagine e cura di sè e la mobilità. La riabilitazione di un paziente con amputazione, inizia subito dopo l’intervento chirurgico, non appena migliorano le condizioni cliniche; spesso ha inizio un più ampio programma di riabilitazione e il lavoro è un importante obiettivo finale. Il successo di entrambe, riabilitazione e terapia del lavoro, dipende da molte variabili, comprese le seguenti: livello e tipo di amputazione, tipo e grado di ogni menomazione, e disabilità, soprattutto, salute del paziente e supporto familiare. Il mal di schiena è tra le prime cause di assenza dal lavoro.
Come si può intervenire su questi pazienti?
Il Low Back Pain (LBP) è una importante causa di assenza dal lavoro e di cattiva qualità della vita. Presso il Day Hospital del San Raffaele Pisana una speciale unità è stata dedicata al trattamento di questi pazienti, che praticavano aerobica, attivazione generale, ginnastica posturale, informazione, counselling e supporto psicologico. Tutti i pazienti sono stati intervistati 2 anni dopo la dimissione. intervistatiI principali risultati suggeriscono che: 1) Per il 75% dei casi il campione è composte da donne; 2) 39 pazienti presentavano radicolopatia compressiva all’ingresso (48,75%) e di questi solo 4 hanno dovuto sottostare a intervento neurochirurgico (10,25%; sul totale del campione 5%); 3) è tornato al lavoro il 96% dei pazienti; 4) all’ammissione il 66.25% usava regolarmente antalgici, ma dopo 2 anni il 75% ne era libero. Le principali conclusioni suggeriscono che: 1) il trattamento del LBP è economicamente vantaggioso per la società, perché fa guadagnare giornate di lavoro e riduce il consumo dei farmaci; 2) gli studi meta-analitici hanno scarso valore, perché confrontano popolazioni molto diverse per etnia e per politiche sociali; 3) la differenza fra operai e impiegati è superata, perché la persona con qualifica di operaio lavora a un tavolo di comando, mentre persone con qualifica di impiegati, come i commessi, stanno in piedi un giorno intero, magari portando pesi; 4) nel trattamento è importante informare, rassicurare, creare una buona aspettativa di ritorno al lavoro; 5) la netta prevalenza femminile richiede interventi di prevenzione primaria.