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Un viaggio nella natura della coscienza

22 Maggio 2012

In occasione della sua intervista per Brain Factor abbiamo deciso di fare qualche domanda al Prof. Marco Sarà, responsabile dell’Unità Operativa di Neuroriabilitazione ad Alta Specialità del San Raffaele Cassino, un reparto di eccellenza, che si occupa di pazienti in stato vegetativo o di minima coscienza, provenienti dai reparti di Reparti di Rianimazione, Neurochirurgia e Neurotraumatologia. L’incontro con il dottor Sarà non è facile da raccontare vista la particolare tipologia di pazienti che trovano assistenza nel suo reparto. Persone, molte delle quali di giovane età, per lo più vittime di incidenti stradali, ma anche casi di gravi lesioni emorragiche, ipossiche causate da infarto cardiaco.


Varcata la soglia del reparto sorgono spontanee domande fondamentali come la definizione di vita, e domande su cosa sia la coscienza. Viene subito da pensare al caso di Eluana Englaro, al clamore che ha destato e alle mille voci che si sono levate….e viene solo voglia di invocare un silenzio discreto, rispettoso, un passo indietro da fare.
Perché, come ci spiega Marco Sarà, “ancora oggi è difficile dare una definizione univoca della coscienza anche se i ricercatori ne hanno coniate molte. Inoltre non sono stati ancora stabiliti dei criteri prognostici sicuri. La mancanza di una definizione univoca del problema implica il rischio che non siano confrontabili i risultati della ricerca, e la confrontabilità rappresenta uno dei presupposti fondamentali della ricerca scientifica. Per quanto riguarda il caso della Englaro, quindi, credo che sia stato dimenticato l’elemento più importante: ad oggi non esiste nessun criterio universalmente accettato per definire la prognosi in questo tipo di pazienti. Affidarsi ad un mero criterio temporale sembra quindi soddisfare più istanze legate all’emotività che quelle legate alla scientificità.”

Dott. Sarà, ci può aiutare a rispondere a domande come: che possibilità ha di recuperare la coscienza un paziente affetto da una grave cerebrolesione acquisita?
Per rispondere a questa domanda stiamo lavorando su più “linee di ricerche”, una di queste riguarda la natura stessa della coscienza. Un danno al cervello può provocare diversi tipi di deficit (perdita della vista, del linguaggio, totale incapacità di comunicare con il mondo esterno) senza provocare alcun danno alla coscienza. Deve infatti essere premesso che non è mai stata individuata un’area cerebrale specifica della coscienza.
Oggi le neuroscienze più avanzate stanno trovando in alcuni fenomeni naturali dei modelli per contribuire a definire come funziona la coscienza. Faccio un esempio: la coscienza può essere considerata un “fenomeno emergente”, cioè uno di quei fenomeni che traggono origine dagli elementi di un sistema di partenza, con la formazione di particolari aggregati (o stati) che posseggono proprietà nuove e riconoscibili. Un esempio naturale, sotto gli occhi di tutti, è rappresentato dagli stormi di uccelli ed i loro movimenti. Lo stormo, infatti, si forma da elementi che sembrano indipendenti e che poi interagiscono in modo coordinato e vantaggioso per i singoli componenti (come ad esempio nella migrazione), formando così comportamenti riconoscibli. Sembra che anche la coscienza, insieme ad altre funzione cognitive superiori, funzioni come il “sistema stormo”: “stormi” di neuroni si formerebbero a costituirla, stormi che possono poi dissolversi come nel sonno, quando si riduce la capacità del nostro cervello di formare connessioni e pertanto siamo meno coscienti. La garanzia della possibilità che si formino questi “stormi” è rappresentata, nel caso del cervello, dalla connettività (l’integrità delle vie, costituite di assoni, che connettono i neuroni tra di loro).

Ma allora ci sono dei casi in cui è possibile dire se un paziente è destinato a recuperare la coscienza?
I sistemi emergenti – come la coscienza – sono caratterizzati dall’impredicibilità dei comportamenti “in uscita”: un sistema instabile ed impredicibile è vitale e, in quanto ancora dinamico, è potenzialmente in grado di migliorare. Il nostro modello vede il danno cerebrale come una “decomplessificazione” del cervello e, in un certo senso, i fenomeni emergenti sono “figli” della complessità. Ad esempio, l’elettroencefalogramma di una persona sana è estremamente impredicibile (il segnale elettroencefalografico si comporta in un modo che nessun modello di tipo matematico può “prevedere”). Questo perché il nostro cervello è un sistema complesso e pertanto in grado di determinare la comparsa anche di fenomeni emergenti (una caratteristica dei sistemi complessi è proprio l’impredicibilità dei parametri in uscita). Nel caso di un paziente in stato vegetativo quanto più i segnali EEG e ECG sono predicabili tanto più sarà difficile che il paziente possa “riprendere coscienza” e uscire dal coma. Abbiamo pubblicato questi risultati su Brain Injury, Nonlinear Dynamics in Psychology and Life Sciences e, in press, su Neurorehabilitation and Neural Repair (functional isolation within cerebral cortex inpatient with vegetative state: a non linear method to predict clinical outcomes – Sarà et all.).

La ricerca farmacologica può essere di supporto alla vostra attività assistenziale?
Nel nostro reparto abbiamo la possibilità di fare ricerca traslazionale, ovvero una ricerca che è legata direttamente alla gestione del paziente. Stiamo studiando delle nuove terapie farmacologiche per i pazienti in stato vegetativo, come l’utilizzo del Bacoflen applicato esclusivamente al midollo spinale (infusione intratecale). Questo trattamento si basa su di un assunto teorico: se il cervello è danneggiato, e quindi “addormentato”, al midollo spinale arriveranno un numero sproposito di informazioni rispetto alla capacità del cervello lesionato di elaborarle. Sarebbe come collegare ad internet un computer costruito 25 anni fa: andrebbe in stallo! La somministrazione di Bacoflen riesce a “modulare” il numero di informazioni che dal midollo spinale arrivano alla corteccia cerebrale attraverso un’azione di “influencing” dei neuroni GABA. In alcuni pazienti sottoposti a questo tipo di trattamento abbiamo potuto riscontrare una maggiore responsività comportamentale: due pazienti hanno recuperato uno stato normale di coscienza, un terzo paziente è passato da uno stato vegetativo ad uno stato di minima coscienza, con successivo recupero di una coscienza normale. I risultati sono stati pubblicati su Achives Of Physical Medicine and Rehabilitation e Brain Injury. (su questa ricerca vedi la presentazione “Bacoflen intratecale e stato vegetativo” http://www.slideshare.net/megudoc/baclofene-intratecale-e-coscienza-1539787). Questi risultati sono stati riprodotti recentemente da un gruppo di neurochirurghi giapponesi.

Vi occupate anche di pazienti che non versano in uno stato di coma?
Nel nostro reparto seguiamo anche i pazienti affetti da Sindrome di
Locked – in: queste persone non hanno la possibilità di muoversi ma sono pienamente coscienti del mondo che li circonda. Per questo motivo vengono definiti “chiusi dentro” . Questa sindrome è abbastanza conosciuta anche grazie al libro “Lo scafandro e la farfalla”: racconta la storia vera di un giornalista che, risvegliatosi dopo un breve periodo di coma, si ritrova completamente paralizzato, incapace di parlare perchè il suo cervello non aveva più alcun collegamento con il resto del corpo. Il protagonista, anche se locked –in, riesce a comunicare con il mondo esterno grazie al movimento del suo occhio sinistro: risponde, ad esempio, a domande precise dicendo “sì” battendo una volta le ciglia oppure “no” battendole due volte. Queste vie elementari di comunicazione possono essere implementate con diverse tecnologie di interfaccia uomo/computer.
Recentemente su Journal Of Neuroscience (i cui risultati sono stati ripresi anche su New Scientist) e Brain and Cognition abbiamo pubblicato dei lavori dove dimostriamo che in questo tipo di pazienti ad essere coinvolte non sono sole le funzioni motorie ma anche altre funzioni che con il movimento non sembrerebbero direttamente collegate. Abbiamo riscontrato anche altri sintomi riguardanti l’immaginario motorio (pubblicati sui Neuropsychologia) e una curiosa forma di “Riso e Pianto patologico” (pubblicati su Archives Of Physical Medicine and Rehabilitation). Ancora un nostro contributo sul trattamento di particolari spasmi della motilità oculare sono stati pubblicati su Mayo Clinic Proceedings e Neurorehabilitation And Neural Repair.

Siamo riusciti ad evidenziare una vera e propria “sindrome nella sindrome” dimostrando che pazienti con Sindrome Locked-in possono presentare disturbi che investono la capacità di riconoscere le emozioni sui volti delle persone e che quindi, l’impossibilità di muovere il proprio corpo può arrecare dei danni all’immaginario motorio e alla percezione delle emozioni.