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Demenze: la capacità di riserva – cerebrale e cognitiva – nell’invecchiamento cognitivo

14 March 2024

La revisione a cura dell’IRCCS San Raffaele di Roma pubblicata su “Alzheimer’s & Dementia”

Arriva proprio nel corso della settimana mondiale del cervello la pubblicazione sulla prestigiosa rivista “Alzheimer’s & Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association“, (Impact Factor di 14.7), dello studio “Cognitive Resilience/Reserve: Myth or Reality? A Review of Definitions and Measurement Methods” a cura della dott.ssa Chiara Pappalettera, della dott.ssa Claudia Carrarini, della prof.ssa Francesca Miraglia, del prof. Fabrizio Vecchio e del prof.  Paolo Maria Rossini del Dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione e del laboratorio di Brain Connectivity dell’IRCCS San Raffaele di Roma in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’Università  eCampus.

La revisione esamina i meccanismi di resilienza del cervello all’invecchiamento fisiologico e patologico, analizza dunque il concetto di riserva cognitiva (CR) in particolare nel contesto della demenza e delle sue fasi iniziali.

Nel contesto medico e biologico, il termine “riserva” indica la capacità di mantenere una specifica funzione (a livello cellulare, organico o sistemico) a fronte di un danno acuto o cronico. Nella più ampia e generale definizione di “riserva” possiamo distinguere la “Riserva Cerebrale” (Brain Reserve – BR) e la “Riserva Cognitiva” (Cognitive Reserve – CR):  la BR potrebbe essere considerata l’“hardware”, mentre la CR il “software”.

Gli autori partendo dal presupposto che “la recente ricerca sul trattamento delle demenze si è concentrata principalmente sull’identificazione e la modifica dei fattori di rischio, con una minore enfasi sulla comprensione e potenziamento dei fattori protettivi” hanno confermato che “individui con una CR più elevata sono in grado di mantenere le funzioni cognitive nonostante i danni cerebrali dovuti a neurodegenerazione,  mentre coloro con una CR più bassa sono più inclini a un declino cognitivo”.

Gli individui con una ricca dote di BR e CR, quando colpiti dai cambiamenti patologici neurodegenerativi, avranno dunque un’insorgenza della demenza ritardata nel tempo e con progressione più lenta. Ma quando si considerano individui con CR elevata ma BR bassa: quale fattore prevale? “In tali casi, è concepibile che possano affrontare un ritardo nell’insorgenza delle malattie neurodegenerative grazie agli effetti protettivi della CR. Tuttavia”, spiegano “una volta che i sintomi si manifestano, la limitata BR potrebbe ostacolare la capacità strutturale di compensare i danni. Questo scenario potrebbe portare a un rapido declino cognitivo nonostante l’insorgenza ritardata. Dall’altro lato, cosa accade quando sia la CR che la BR sono basse? Gli individui in questa categoria potrebbero essere più suscettibili a un esordio precoce di malattie neurodegenerative, poiché una CR bassa suggerisce una mancanza di capacità per meccanismi compensatori. Inoltre, una bassa BR implica una resilienza strutturale limitata contro cambiamenti patologici. Pertanto, questa doppia carenza potrebbe contribuire a un esordio precoce e ad una progressione rapida della malattia”.

La riserva cerebrale tende, inoltre, a rimanere relativamente stabile durante tutta la vita di un individuo. Al contrario, quella cognitiva mostra forte dinamicità, influenzata da una stimolazione cognitiva continua, dall’istruzione e dalla partecipazione a attività mentalmente stimolanti.

Come misurare la CR in modo affidabile? “Le caratteristiche socio comportamentali spesso si basano su dati auto-dichiarati, introducendo il potenziale errore” hanno spiegato i ricercatori dell’IRCCS, “gli individui potrebbero non ricordare o riportare con precisione le proprie attività cognitive, l’istruzione o il coinvolgimento in attività intellettualmente stimolanti. Inoltre, l’interpretazione dei fattori socio comportamentali è soggetta all’influenza di contesti culturali e sociali. La definizione di cosa costituisca un’attività mentalmente stimolante può variare tra le popolazioni, influenzando così la generalizzabilità dei risultati. Le misure con parametri neuropsicologici, sebbene preziosi, possono concentrarsi prevalentemente su specifici domini cognitivi, rischiando di trascurare lo spettro più ampio delle abilità cognitive che contribuiscono alla CR. Inoltre, la variabilità intrinseca nelle prestazioni, derivante da fattori come la fatica, l’umore o influenze esterne, potrebbe compromettere la precisione delle misurazioni cognitive”.

In conclusione, questa revisione portata avanti dei ricercatori dell’IRCCS San Raffaele, ha dimostrato la complessità delle misurazioni attuali della CR e la natura sfuggente del concetto stesso. Armonizzare il campo attraverso un approccio integrato e multidisciplinare è essenziale per stabilire metodologie coerenti e facilitare la collaborazione tra le comunità scientifica e clinica. Nonostante le limitazioni sopra menzionate, c’è un crescente e generale consenso sul fatto che la CR sia uno dei più importanti fattori protettivi contro i processi neurodegenerativi. Qualsiasi intervento mirato a stili di vita e fattori modificabili che potenziano la CR potrebbe migliorare significativamente la resilienza cerebrale negli anziani e servire come mezzo per valutare ed integrare l’efficacia dei trattamenti farmacologici e non farmacologici.